Il Ju Jitsu (柔術) è la più antica arte marziale giapponese. Il nome deriva da Ju (“cedevole”) e Jitsu (“arte”), quindi letteralmente “Arte della cedevolezza”. Il Ju Jitsu era praticato dai Bushi (guerrieri), che se ne servivano per “sopraffare” fisicamente i propri avversari, provocandone anche la morte, a mani nude o con armi.
La “leggenda” narra che molti secoli fa, un “medico giapponese”, che aveva studiato tecniche di combattimento apprese, non solo in Giappone, ma anche durante i suoi viaggi in Cina compiuti per studiare la medicina tradizionale e i metodi di rianimazione, contrariato dai suoi insuccessi, per cento giorni si ritirò in meditazione presso un antico tempio Buddista affinché potesse affinare e migliorare le tecniche apprese lungo i suoi viaggi tra Cina e Giappone.
Accadde che un giorno, durante un’abbondante nevicata, osservò che il peso della neve aveva spezzato i rami degli alberi più robusti. Lo sguardo gli si posò allora su di un albero che era rimasto intatto: un salice. Ogni volta che la neve minacciava di spezzarli, questi si flettevano lasciandola cadere per poi riprendere la primitiva posizione.
Questo fatto impressionò molto il bravo medico, che, intuendo l’importanza del principio della non resistenza, decise di applicarlo alle tecniche che stava affinando dando così origine allo stile più antico di Ju Jitsu , lo “Yoshin Ryu” letteralmente “Scuola dello Spirito del Salice”.
Il Ju Jitsu è un’arte di difesa personale che basa i suoi principi sulle radici del nome originale giapponese: “Hey yo shin kore do” ossia “Il morbido vince il duro”. In molte arti marziali, oltre all’equilibrio del corpo, conta molto anche la forza di cui si dispone. Nel Ju Jitsu invece la forza della quale si necessita proviene proprio dall’avversario. Più si cerca di colpire forte, maggiore sarà la forza che si ritorcerà contro. Il principio, quindi, sta nello sfruttare la forza dell’avversario per le proprie finalità. Nel Ju Jitsu: “se egli spinge, tira; se egli tira, spingi”. Il segreto risiede tutto nello sfruttamento del punto di equilibrio del proprio avversario. E’ come se il nostro contendente non si accorgesse neanche della nostra difesa ed invece trovasse, davanti a sé, “il vuoto”.
Il Ju Jitsu è un’antica forma di combattimento di origine giapponese di cui si hanno notizie certe solamente a partire dal XVI secolo quando la scuola Takenouchi (竹内流) produsse una codificazione dei propri metodi di combattimento. Ma certo l’origine del Ju Jitsu è molto più antica e la definizione, durante tutto il periodo feudale fino all’editto imperiale del 1876 che proibì il porto delle spade decretando così la scomparsa dei samurai, si attribuiva alle forme di combattimento a mani nude o con armi (armi tradizionali, cioè spada, lancia, coltello, bastone, arco etc.) contro un avversario armato o meno, praticate in una moltitudine di scuole dette Ryu, ognuna con le proprie specialità. Le armi erano inaccessibili ai civili, e quest’ultimi adattarono nell’uso i pochi strumenti che avevano a disposizione, usandoli appunto per difendersi (queste armi erano appunto dette “contadine” a differenza di quelle utilizzate dalla casta dei Samurai, le “armi nobili”)
Si distinguevano perciò le scuole dedite all’uso della katana, la spada tradizionale giapponese, quelle maggiormente orientate alla lotta corpo a corpo, fino alle scuole di nuoto con l’armatura, tiro con l’arco ed equitazione. Quest’ultime costituivano la base dell’addestramento del Samurai, espressa dal motto Kyuba No Michi, la via (michi) dell’arco (kyu) e del cavallo (ba), che più tardi muterà nome in “Bushidō”.
Una caratteristica che accomunava tutte queste scuole era l’assoluta segretezza dei propri metodi e la continua rivalità reciproca, poiché ognuna professava la propria superiorità nei confronti delle altre. In un paese come il Giappone, la cui storia fu un susseguirsi di continue guerre tra feudatari, il ruolo del guerriero rivestì una particolare importanza nella cultura popolare, e con esso il Ju Jitsu. La difesa del territorio, la disputa di una contesa, la protezione offerta dal più forte al più debole sono solo alcuni dei fattori che ne hanno permesso lo sviluppo tecnico, dettato dalla necessità di sopravvivenza.
Con l’instaurarsi dello Shogunato Tokugawa (1603-1867), il Giappone conobbe un periodo di relativa pace: fu questo il momento di massimo sviluppo del Ju Jitsu, poiché, privi della necessità di combattere e quindi di mantenere la segretezza, fu possibile per i vari Ryū “organizzarsi e classificare i propri metodi”. Anche la gente comune cominciò ad interessarsi ed a praticare il Ju Jitsu poiché la pratica portava ad un arricchimento interiore dell’individuo, data la relazione intercorrente con i riti di meditazione propri del buddismo zen. Ma la cultura guerriera era talmente radicata nella vita dei Giapponesi da spingere i Samurai a combattere anche quando non ve n’era l’effettiva necessità. Ciò portava a volte all’organizzazione di vere e proprie sfide denominate Dōjō Arashi (tempesta sul dōjō), in cui i migliori guerrieri si confrontavano in modo spesso cruento per dimostrare la superiorità della propria Scuola rispetto alle altre.
La caduta dell’ultimo Shōgun (sommo capo militare) e il conseguente restauro del potere imperiale causarono grandi sconvolgimenti nella vita del popolo: i giapponesi, che fino a quel momento avevano vissuto in completo isolamento dal resto del mondo, ora si volgevano avidamente verso la cultura occidentale che li stava “invadendo”. Ciò provocò un rigetto da parte del popolo per tutto ciò che apparteneva al passato ivi compreso il Ju Jitsu. La diffusione delle armi da fuoco fece il resto: il declino del Ju Jitsu era in atto.
Il nuovo corso vide la scomparsa progressiva della classe sociale dei Samurai, che avevano dominato il Giappone per quasi mille anni e il Ju Jitsu da nobile che era scomparve insieme ad essi. Gran parte dei dōjō allora esistenti furono costretti a chiudere per mancanza di allievi ed i pochi rimasti erano spesso frequentati da gente dedita a combattere per denaro, persone rozze e spesso coinvolte in crimini. Questo aspetto in particolare influenzò negativamente il giudizio del popolo nei confronti del Ju Jitsu poiché vedeva in esso uno strumento di sopraffazione e violenza.
E’ sostanzialmente solo a partire dalla seconda metà del ’900 che alcuni appassionati occidentali di discipline marziali giapponesi cominciarono a frequentare ed “essere accettati” all’ interno di quei pochi Dojo Tradizionali Giapponesi sopravvissuti al declino dei Ryu. Inizialmente, infatti, i depositari delle più antiche discipline marziali del continente nipponico erano restii all’insegnamento delle loro antiche pratiche alle popolazioni occidentali. Successivamente constatarono che spesso gli occidentali trovavano più interesse dei locali nella pratica e nell’ apprendimento del Ju Jitsu. Pertanto, progressivamente, incominciarono ad insegnare anche ad allievi “non residenti” e , successivamente, a divulgare anche al di fuori dei confini del Giappone i loro preziosi insegnamenti. Oggi la diffusione, ancora molto limitata, degli stili tradizionali (quelli originali) di Ju Jitsu è dovuta al ruolo svolto da singoli o piccoli gruppi di individui che hanno avuto la forza e le capacità di intraprendere una nuova, ma molto antica, “via”.